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La Cittadella
Appendice dell’anfiteatro portuale è il braccio di San Raineri, che comincia dalla Stazione Marittima e finisce, dalla parte opposta, col forte Campana, sul cui bastione a mare si innalza la stele della Madonnina del Porto. Nell’ampia striscia di terra prevalgono moli e banchine di attracco. Esistono anche bacini di carenaggio; i cantieri navali Rodriguez, ideatori e progettisti dei famosissimi aliscafi ad ali portanti, noti in tutto il mondo; opifici industriali e depositi. Il tutto in un contesto che in altri tempi veniva chiamato la “Cittadella”, costruita dagli spagnoli nel 1682 ma utilizzata principalmente dai Borboni come testa di ponte per le loro  operazioni di repressione su Messina.  Il posto era talmente mal visto dai messinesi che, in meno di un secolo,la Cittadella  fu  fatta degradare e smantellare da operatori  privati che lentamente la invasero di costruzioni abusive, di fabbriche e servizi. Rimangono, ancora, avanzi di mura perimetrali ed interni, molte di esse interrate. Prima che andasse distrutta o lentamente asportata, è stata smontata e ricostruita in piazza Casa Pia una sua monumentale porta, chiamata Porta Grazia, alla cui decorazione avevano lavorato Domenico Biundo e i suoi figli. La porta  prese il nome da una chiesa esistente prima della costruzione della Cittadella e che fu demolita per fare posto alla fortezza a pianta pentagonale bastionata. Al centro della penisola di S. Raineri si eleva la Lanterna, così chiamata dal nome di un frate che, secondo la tradizione, tutte le notti in quel punto accendeva un fuoco per orientare i naviganti. La struttura, progettata dal Montorsoli che la realizzò nell’ambito delle fortificazioni volute da Carlo V , si iniziò nel 1547 e fu portata a termine nel 1555. Ha forma di un quadrilatero, rivestito di bugne in pietra dura siciliana,  alta cinquanta metri con una scala di 160 gradini, di cui 133 a chiocciola.  Sulla porta d’ingresso è affissa una lapide in marmo con epigrafe dettata da Francesco Maurolico.

 

©2008  Testi e fotografie di Pippo Lombardo e Nino Principato