I DIVERSI INFLUSSI
L'influsso
greco (735- 254 a .C.)
Il
periodo della colonizzazione greca della Sicilia, oltre a lasciare dal
punto di vista linguistico molti termini dell'idioma ellenico ancora oggi
usati in maniera inconscia, nella nostra parlata, ha portato ad una
maniera rivoluzionaria di concepire l'architettura, particolarmente
quella sacra, con l'edificazione di numerosi templi nelle varie colonie
fondate (a titolo di esempio si citano la cosiddetta “Valle dei
Templi” ad Agrigento; Selinunte; Morgantina; Segesta. Tutti siti
dove venne applicato l'Ordine Dorico in architettura, il primo ad essere
introdotto dai greci).
L'influsso
greco nel dialetto si può, ad esempio, riscontrare nei termini:
cirasa
(ciliegia), [greco: kérasos]
casèntaru
(lombrico) [greco: ges enteron (intestino della terra)]
cuddhura
(forma di pane circolare col vuoto interno) [greco: kollira]
‘ntamatu
(sbalordito) [greco: thaumà]
babbiari
(scherzare) [greco: babazo]
allippatu
(unto d'olio, sporco) [greco: lipos]
e
nei nomi di città come Trapani (porto a forma di falce) [greco:
drepano], Palermo (porto, sicuro, eterno) [greco: pan ormos].
L'influsso
latino ( 254 a .C.- 410 d.C.)
Dopo
la prima guerra punica ( 264 a .C.) i romani diedero inizio
all'occupazione della Sicilia portando la loro lingua, il latino, che
almeno in una fase iniziale di assestamento delle loro colonie, non venne
facilmente accettato preferendogli il greco, considerato idioma
più dotto. Messina fu nominata città federata a Roma,
poiché i Mamertini diedero ad essa valido aiuto per la conquista
dell'Isola, con tutti i privilegi conseguenti (piena libertà
politica di legiferazione; autonomia amministrativa; esercizio dei
diritti civici e politici nella gestione della cosa pubblica con un
proprio, autonomo Senato; esenzione dal pagamento di tasse e balzelli a
Roma, ecc.).
Nel
dialetto siciliano, l'influsso latino si estrinseca non solo nelle
espressioni di origine latina che si ricollegano a quella italiana, ma,
anche, nella conservazione di particolari espressioni latine che non
trovano riscontro nell'italiano:
antura
(poco fa) [latino: ante horam]
oggiallannu
(l'anno scorso) [latino: hodie est annus]
bifara
(varietà di fico) [latino: bifer]
muscaloru
(ventaglio per scacciare le mosche) [latino: muscarium]
grasciu
(grasso, sporco) [latino: crassus]
Questa
influenza latina si caratterizzerà con due diverse ondate. Una,
nella quale le vocali finali vengono pronunciate in modo chiaro, sul
modello del sistema fonetico latino, ed una contaminata dal modello
bizantino nel quale le vocali mutano sotto l'influenza della
“u” finale (metafonia = cambio vocalico) come in
“ferru” (ferro), “mortu”(morto),
“sonnu”(sonno), “dannu”(danno); i gruppi di
consonanti “mb” e “nd” cambiano in “mm”
e “nn” come “jamma”(gamba),
“jammuru”(gambero), “quannu” (quando),
“calannu” (calando), “mannulinu” (mandolino),
“mennula” (mandorla); la “d” intervocaliva
diventa “r” come “reci” (dieci),
“cririri” (credere), “ririri” (ridere),
“viriri” (vedere).
L'influsso
barbarico (410 d.C. – 535 d.C.)
In atto, tale influsso non è documentabile. In questo periodo si
continuò a parlare ed a scrivere in greco e latino.
L'influsso
bizantino (535 d.C. – 827 d.C.)
In questo periodo si mantenne e si rafforzò l'uso dell'idioma
greco anche perché, nel 535 d.C., l'imperatore Giustiniano
proclamò la Sicilia provincia bizantina.
L'influsso
arabo (827 d.C. – 1061)
Con la caduta di Mazara nell'827 d.C. ha inizio la dominazione araba in
Sicilia che durerà per circa tre secoli. Gli arabi introdussero
nell'isola i sistemi di irrigazione (“noria”,
“senia”) e la coltivazione dei limoni, arance, meloni,
pistacchi, papiro. Molte tecniche ed espressioni legate all'agricoltura
sono di derivazione araba, come “gebbia” (vasca) e
“ammacia” o “armacera” (muro a secco).
Molti
sono i termini dialettali nati sotto l'influsso arabo, fra i quali:
babbaluci
(lumaca) [arabo: babaluci]
cafisu
(cafiso: misura d'olio) [arabo: qafiz]
cùscusu
(specie di pasta per la minestra) [arabo: kouskousu]
dammusu
(volta) [arabo: damùs]
gebbia
(ricetto d'acqua, vasca) [arabo: dijeb]
giuggiulena
(semi di sesamo) [arabo: giulgiulan]
sciarriarisi
(litigare, bisticciare) [arabo: sciarr]
lissa
(tristezza, malinconia) [arabo: lissa]
funnucu
(fondaco, luogo di sosta per viaggiatori e cavalli) [arabo: funduq]
ciaramita
(tegola) [arabo: ciaramith]
ibbusu
(gesso) [arabo: ybhis]
sceccu
(asino)
La
lunga occupazione araba in Sicilia è testimoniata anche da alcuni
nomi di città come Calatabiano, Caltagirone, Caltanissetta,
Calatafimi, Caltabellotta, Caltavuturo, dove il termine arabo
“qalah” o “qalet” significa castello, e,
Misilmeri, letteralmente “castello dell'emiro” dall'arabo
“'manzil al-amir”.
L'influsso
normanno (1061 – 1194)
Con la caduta di Messina ad opera del Gran Conte Ruggero, nel 1061, ebbe
inizio la campagna normanna in Sicilia che, in circa trenta anni,
liberò l'isola dalla dominazione araba. Con la dinastia normanna
degli Altavilla, fanno il loro ingresso nel dialetto siciliano molte
espressioni franco-provenzali, come:
muntuari
(nominare) [francese: mentaure]
burgisi
(possidente) [francese: borgés]
picciottu
(giovanotto, commesso) [francese: puchot]
muntata
(salita) [francese: montada]
La
dominazione normanna ha lasciato anche il suo segno contaminando la
parlata siciliana con l'introduzione di alcuni elementi gallo-italici
(è il caso di San Fratello o di Fondachelli Fantina). Le tracce di
quest'influenza si trovano, ad esempio, nelle parole
“badagghiari” (sbadigliare); “vozzu” (gozzo);
“dumani” (domani).
L'influsso
svevo (1194 – 1266)
Alla
morte di Guglielmo II il Buono (1189), ultimo re normanno, la corona di
Sicilia passò a Costanza d'Altavilla, sua zia e moglie del re
Enrico di Hohenstaufen che nel 1194, col nome di Enrico VI, fu proclamato
re di Sicilia. Anche se di breve durata, questo periodo influenzò
con la lingua tedesca alcuni termini della parlata siciliana, come, ad
esempio:
arrancari
(camminare affannosamente) [tedesco: rank, gotico wranks]
vastedda
(forma rotonda di pane) [tedesco: wastel]
sparagnari
(risparmiare) [tedesco: sparen]
L'influsso
angioino (1266 – 1282)
Morto Federico II di Svevia nel 1250, la corona passò al figlio
del re d'Inghilterra Edmondo di Lancaster, poi destituito dal papa
Clemente IV che affidò il regno a Carlo I d'Angiò, fratello
del re di Francia Luigi IX. Anche se di breve durata, il periodo angioino
fece ancor più consolidare l'influenza della lingua francese nel
dialetto, con espressioni come, ad esempio:
ammucciari
(nascondere) [francese: mucer]
custureri
(sarto) [francese: costurier]
giugnetto
(luglio) [francese: jugnet]
scippu
(furto) [francese: chiper]
runfuliari
(russare) [francese: ronfler]
travagghiari
(lavorare) [francese: travailler]
vucceri
(macellaio) [francese: boucher]
muccaturi
(fazzoletto) [francese: mouchoir]
racina
(uva) [francese: raisin]
L'influsso
spagnolo e catalano ( a partire dal 1282)
Con la rivolta popolare dei Vespri Siciliani (1282) Carlo d'Angiò
venne scacciato dall'isola. Ebbe, quindi, inizio il periodo aragonese con
Pietro d'Aragona che era giunto in aiuto dei rivoltosi siciliani. Per
quasi cinquecento anni gli spagnoli governarono la Sicilia e questa
lunghissima dominazione fece sì che la loro lingua si fondesse
armoniosamente con il dialetto siciliano:
abbuccari
(cadere, capovolgere) [spagnolo: abocar]
curtigghiu
(cortile) [spagnolo: cortijo]
lastima
(lamento) [spagnolo: làstima]
pignata
(pentola) [spagnolo: pinada]
scupetta
(fucile da caccia, “lupara”) [spagnolo: escopeta]
zita
(fidanzata) [spagnolo: cita (appuntamento)]
sgarrari
(sbagliare) [catalano: esgarrar]
nzirtari
(indovinare) [catalano: encertar]
I
dialetti siciliani, per areali geografici, si possono dividere in tre
zone: siciliano occidentale (aree palermitana, trapanese e agrigentina);
siciliano centrale (aree nisseno-ennese, agrigentina orientale e delle
Madonie); siciliano orientale (aree siracusano-catanese, messinese).
L'uso
del dialetto scritto e parlato deve considerarsi patrimonio multietnico e
multiculturale da salvaguardare e non, come generalmente si crede, un
momento socialmente e culturalmente riduttivo. Infatti, la cosiddetta
“presa di coscienza del moderno”, e, cioè, il
progresso, non deve di contro provocare la “perdita di coscienza
del passato” perché ciò si tradurrebbe,
inevitabilmente, in perdita d'identità e, quindi, nello
sradicamento da se stessi.
Occorre
incoraggiare ed incentivare lo studio del dialetto insieme a quel
complesso recupero ed approfondimento di fatti storici e culturali ad
esso intimamente connaturati. Infatti, in molti modi di dire in idioma
siciliano, si fa spesso riferimento proverbiale a fatti e vicende
realmente accadute o ad usi e costumi radicati nella vita quotidiana del
passato.
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