Mistretta
Comunità
montana della provincia di Messina,a
950 m.s.m. ha un territorio di 126 km quadrati e 15.000 abitanti. E’
il paese più occidentale del parco dei Nebrodi e nel contempo uno
dei più caratteristici.
Al turista si
presenta con piccole vie ripide e tortuose, con scalinate in pietra arenaria,
palazzi di ottima fattura, con caratteristiche fontane e ben ventidue
chiese.
Si erge sul
fianco settentrionale dei Nebrodi, sopra una dorsale tra le fiumare di
Reitano e Tusa sulla linea Messina-Palermo.
Sorge sul luogo
dell’antica Amestraus, alleata di Roma repubblicana.
Sembra sia stata
fondata dai Sicani o dai Fenici, non si hanno documenti che attribuiscono
la certezza sulla sua fondazione.
Distrutta dai
Romani durante la prima guerra punica per essersi schierata dalla parte dei
Cartaginesi, Mistretta risorge nello stesso sito.
I primi
documenti ricordano che Guglielmo II il Buono, re normanno di Sicilia, la
infeudò ai Bonelli.
Nella seconda
metà del sec .12°, passato il regno agli Svevi, divenne sotto
Federico II dominio di Corrado di Antiochia, i cui discendenti la tennero
finché Pietro I di Aragona, nel secolo 14°, la trasmise con il titolo
di contea a Blasco Alagona.
Si
riscattò dal vincolo feudale nel 1637, divenendo città
Regia.
Il MUSEO REGIONALE DELLE TRADIZIONI
SILVO-PASTORALI DI MISTRETTA
Ha sede
nell’ex Palazzo di Giustizia, in origine sede del complesso
conventuale e con la chiesa delle Anime del Purgatorio, ancora esistente.
Ha circa 1.500
reperti a documentazione degli
svariati cicli lavorativi e produttivi tradizionali del luogo.
Al suo interno
sezioni dedicate ai cicli agricoli del grano, vino ed olio; pastori,
allevatori, carbonai, taglialegna, cacciatori, estetica pastorale, una
sezione curata dall’Ente Parco dei Nebrodi dedicata alla
naturalistica, e una dedicata alla cultura tradizionale di Mistretta.
Il Dirigente
responsabile dell’Unità Operativa Etno-antropologica della
Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Messina Sergio Todesco, scrive: Il museo non
è un deposito di cose vecchie né un cimitero di sogni
perduti. In esso vanno esposti pochi (relativamente pochi) oggetti, di
notevole impatto estetico-visivo e con un’alta capacità di
coinvolgimento comunicativo ed emozionale. Accanto ai reperti, da
considerare come snodi visibili di un ampio reticolo relazionale, andranno
così esplicitati, mediante l’impiego di tutte le strategie
possibili della comunicazione e dell’animazione (scrittura, immagine
fissa e in movimento, documento sonoro, supporto interattivo, sala
immersiva etc.), i rapporti, i contesti, le modalità in base ai
quali l’oggetto esposto - congiuntamente con la famiglia di oggetti
cui “scientificamente” esso appartiene - documenta e
rappresenta particolari forme di vita e di cultura.
Un museo
siffatto diviene così una esposizione e rappresentazione di
etnografie, di scritture, di messe in scena, contenente articolate proposte
di percorsi di lettura di fenomeni e fatti culturali. Attraverso alcune
particolari modalità di allestimento (ad esempio tramite l’uso
di modellini o gigantografie o altre strategie “fuori scala”),
si perseguirà un affrancamento dalle collezioni ritenuto
fondamentale per un rapporto più partecipato con le forme di cultura
che il Museo intende documentare, nel convincimento che sottrarre
naturalità al museo rafforzi i processi di lettura metalinguistica
che gli sono propri.
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