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Miti e leggende dello Stretto di Messina
RUGGERO E LA FATA MORGANA
Prima della
conquista di Messina, tolta al dominio arabo dai Normanni, il Gran Conte
Ruggero d’Altavilla passeggiava, in un sereno giorno del 1060, lungo
una spiaggia calabrese e osservando la costa peloritana, pensava come
avrebbe potuto sottrarre i messinesi dal giogo dei musulmani che da
duecento anni erano i padroni assoluti della “bianca colomba”
sullo Stretto.
Il Normanno,
soprappensiero, prosegue i suoi passi quando, improvvisamente, il tratto di
mare davanti a lui comincia a ribollire e lentamente emerge dalle
profondità marine una bellissima figura di donna che proprio qui,
nello Stretto di Messina, ha il suo più splendido e ricco palazzo:
è la Fata
Morgana, sorella carnale di Re Artù
d’Inghilterra.
Ruggero la vede
salire su un carro bianco e azzurro misteriosamente apparso, tirato da
sette cavalli bianchi con le criniere azzurre; scalpitanti, i magnifici
destrieri stanno per dirigersi verso sud quando la Fata, accortasi della
presenza del Gran Conte, lo invita a salire sul cocchio per condurlo in
Sicilia dove troverà un potente esercito pronto a combattere contro
gli Arabi.
Ruggero sorride e
cortesemente risponde a Morgana: “Ti ringrazio dell’aiuto che
vuoi offrirmi ma so che la Madonna e i santi mi proteggeranno e con le mie
sole forze riuscirò a vincere, col valore delle armi, senza
ricorrere alle magie e agli incantesimi che tu, gentilmente, vuoi mettere
al mio servizio”.
Morgana per tre
volte agita nell’aria immota la sua bacchetta e scaglia in mare tre
sassi bianchi. Nel punto dove essi si inabissano, appaiono sulla superficie
dell’acqua, prodigiosamente, castelli, palazzi, strade, alberi e
foreste; tutto sembra così vicino al punto tale da essere raggiunto
con un piccolo salto.
“Ecco la
Sicilia! Raggiungi Messina e vi troverai un agguerrito e munitissimo
esercito che ti consentirà di sconfiggere gli infedeli”.
Ruggero, con parole
cortesi, ancora una volta rifiuta l’offerta della Fata e ribadisce
che libererà la Sicilia dal paganesimo non con l’inganno, ma,
con l’aiuto di Gesù Cristo e di sua madre, la Vergine Maria a
cui ha consacrato la sua difficile impresa.
Morgana non insiste
più. Agitando in aria la sua magica verga fa scomparire castelli,
case, strade e vegetazione; poi, spronando i cavalli, si muove nel cielo
incontro al sole che sta inondando di luce lo Stretto e si dirige verso
l’Etna.
Chi ha avuto la
fortuna di osservare questo strepitoso fenomeno ottico sul mare dello
Stretto di Messina, ne ha riportato sempre l’impressione di qualcosa
che sconfina nel magico e nel favoloso. Ne fu talmente colpito nel 1643 il
sacerdote Ignazio Angelucci che, non senza qualche esagerazione giustificata
dall’entusiasmo e dall’emozione del momento, scrisse una lunga
lettera a Padre Leone Sancio della Compagnia di Gesù a Roma,
narrandogli con dovizia di particolari l’”arcana
apparizione” cui aveva assistito trovandosi a Reggio Calabria.
“Accade
– riferisce l’Angelucci – di tanto in tanto nello Stretto
di Sicilia un naturale prodigio, che serve d’incanto ad ogni sguardo.
In occasione, che sia caldissimo il giorno, e quietissimo il mare, si alza
certo vapore, che i nativi del luogo chiaman Morgana, e meglio si
può chiamare Teatro, nel quale si mostra in mille scene ogni
più bella sorta di prospettiva”.
All’improvviso
– prosegue il religioso – “il mare che bagna la Sicilia
si gonfiò e diventò per dieci miglia in circa di lunghezza
come una spina di montagna nera; e questo dalla Calabria spianò e
comparve in un momento un cristallo chiarissimo e trasparente, che parea
uno specchio, che colla cima appoggiasse su quella montagna di acqua e col
piede al lido di Calabria. In questo specchio comparve subito di colore
chiaro scuro una fila di più di dieci mila pilastri di uguale
larghezza e altezza, equidistanti e di un medesimo vivissimo chiarore, come
di una medesima ombratura erano gli fondati fra pilastro e pilastro”.
A questa prima apparizione seguirono la formazione di un “gran
corniccione” , di “Castelli Reali” in grande numero e di
un “Teatro di colonnati, ed il Teatro si stese, e fecene una doppia
fuga:indi la fuga de’colonnati, diventò lunghissima facciata
di finestre di dieci fila: della facciata si fè varietà di
selve, di pini, e cipressi eguali, e di altre varietà
d’alberi, e qui il tutto disparve; ed il mare con un poco di vento
tornò mare”. Di questo suggestivo fenomeno, detto anche
“Teatro Catottrico” e “Iride Mamertina”, testimoni
in antico furono Damascio che narra di aver visto nel mare dello Stretto
“Eserciti d’Uomini a cavallo, ed a piedi, mandrie di bestiami,
selve…”, Aristotele, Policleto e Cornelio Agrippa; in epoche
più recenti, nel Settecento, i sacerdoti Giuseppe Scilla e Domenico
Monforte assistettero stupiti al fantasmagorico fenomeno.
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